venerdì 2 marzo 2012

SOSTA IN APERTA CAMPAGNA di Michael Kruger (02/03/2012)

 

Micheal Kruger si distanza dallo stile e dalla sperimentazione dei poeti berlinesi. Bavarese, è fondatore della famosa casa editrice Hanser Verlag; oltre che responsabile della rivista letteraria Akzente e traduttore di poesia, principalmente italiana e israeliana. Come anticipavo all’inizio, e prima di concentrarmi sui poeti di quella determinata area, Kruger ha un’altra metodologia di scrittura, forse dipeso dai suoi studi e dalle sue letture (effettivamente, la sua poetica rispecchia molto quella italiana, degl’ultimi vent’anni). La sua poesia narrante cammina in linea retta senza che ci obblighi a grandi sforzi di lettura e comprensione. Le immagini sono piene e sincere. Le metafore si misurano con gli oggetti interpellati. L’astratto è vago. La realtà vige incontrastata. Tutto si appoggia ad essa.
La poesia che vi leggo e vi trascrivo, ripresa dal libro “Poco prima del temporale” (Frassinelli editore), ci conduce in un breve viaggio che l’autore compie non da spettatore, ma da protagonista. Lui è lì. Studia i movimenti della situazione nella quale si ritrova. C’è la sensazione del vacuo (“Qui non si semina più, né si raccoglie”) perenne (“perfino il vento è senza ambizioni”). E c’è anche quella della solitudine e dell’abbandono (“Poi il treno riparte, i morti sotto il tracciato cominciano a stridere”). Gli spettatori diventano i suoi occhi, mentre le persone che incontra – ma anche la natura che lo circonda - sembrano essere suoi antagonisti.
Il libro è concentrato sul tema dell’incontro, ma anche del ricordo e del viaggio. La voce grossa la fa l’udito: parole, suoni, lamenti, si alternano trai vari componimenti. Noi vediamo ciò che non possiamo sentire e lo materializziamo sotto forma di parola.
Il sarcasmo ci nutre di morale e spensieratezza. I ricordi (portati dai topi in minuscole grotte) sono favole di altri tempi. 


.Sosta in aperta campagna.
(Michael Kruger)

In un campo sonnecchia una trebbiatrice
nel suo abito arrugginito, più in là i boschi,
la profana ortodossia del verde.
Topi di campagna portano al sicuro i miei
                                          ricordi
in minuscole grotte, uno spaventapasseri
tiene lontano i loro nemici.
Qui non si semina più, né si raccoglie,
perfino il vento è senza ambizioni.

Un casolare abbandonato si atteggia a patria,
edera rossa ne infiamma i muri.
E’ facile immaginarsi
che qui si pensi ancora a dio,
in cui nessuno vuole più credere.

Un dio delle more, un dio delle lappole
che nessun peccato riesce ad irritare.

Una giovane donna piange, perderà
la coincidenza. L’uomo di fronte perde
la testa nel giornale. Si può,
si domanda alla donna, pretendere dalla verità
che si contraddica?
Il soldato fa le parole crociate
il mondo gli è davanti in verticale.
Scontro violento
di cinque lettere. Sarebbe bello,
se la pace orizzontale durasse.

Poi il treno riparte, i morti
sotto il tracciato iniziano a stridere.