venerdì 22 giugno 2012

MALATTIE NELLA MIA CASA di Pablo Neruda (22/06/2012)


Un anno di Venerdì di Poesia: oltre tre mila visite, anche dalla Russia e dagli Stati Uniti. Davvero GRAZIE.



.Malattie nella mia casa.
(Pablo Neruda)

Quando il desiderio di gioia con i suoi denti di rosa
gratta gli zolfi caduti per molti mesi
e la sua rete naturale, i suoi capelli sonanti
alle mie estinte stanze con roco passo giungono,
lì la rosa di filo metallico maledetto
batte con ragni le pareti
e il vetro rotto osteggia il sangue,
e le unghie del cielo si accumulano,
in tal modo che non si può uscire, non si può dirigere
un tema apprezzabile,
è tanta la nebbia, la vaga nebbia defecata dagli uccelli,
è tanto il fumo convertito in aceto
e l’aria acre che perfora le scale:
nell’istante in cui il giorno cade con le penne disfatte,
non c’è che pianto, nient’altro che pianto,
solo sofferenza, solo sofferenza,
e nient’altro che pianto.

Il mare si è messo a battere per anni una zampa d’uccello,
e il sale batte e la schiuma divora,
le radici di un albero trattengono una mano di bimba,
più grande di una mano del cielo,
e tutto l’anno lavorano, ogni giorno di luna
sale sangue di bimba verso le foglie macchiate della luna,
e c’è un pianeta dai terribili denti
che avvelena l’acqua in cui cadono bimbi,
quando è notte, e non v’è che la morte,
solo la morte, e nient’altro che pianto.

Come un grano di frumento nel silenzio, ma
a chi chiedere pietà per un grano di frumento?
Guardate come stanno le cose: tanti treni,
tanti ospedali con ginocchia spezzate,
tante botteghe con gente moribonda:
allora, come? Quando?
Chi supplicare per occhi del colore di un mese freddo,
e per un cuore della grandezza del frumento che vacilla.
Non vi sono che ruote e considerazioni,
alimenti progressivamente distribuiti,
linee di stelle, coppe
in cui non altro cade che la notte,
non altro che la morte.

Bisogna sostenere i passi infranti.
Passare in mezzo a tetti e tristezze mentre arde
una cosa bruciata con fiamme di umidità,
una cosa tra stracci tristi come la pioggia,
qualche cosa che arde e che singhiozza,
un sintomo, un silenzio.
Tra conversazioni abbandonate e oggetti respirati,
tra i fiori vuoti che il destino incorona e abbandona,
c’è un fiume che cade come una ferita,
l’oceano che batte un’ombra di freccia spezzata,
c’è tutto il cielo che perfora un bacio.

Aiutatemi, foglie che il mio cuore ha adorato in silenzio,
dure traversate, inverni del sud, capigliature
di donne bagnate nel mio sudore terrestre,
luna del sud del cielo sfogliato,
venite a me con un giorno senza dolore,
con un minuto in cui possa riconoscere le mie vene.

Sono stanco di una goccia,
sono ferito solamente in un petalo,
e da un buco si spillo ascende un fiume di sangue
senza consolazione,
e affogo nelle acque della rugiada che marcisce nell’ombra,
e per un sorriso che non cresce, per una bocca dolce,
per delle dita che il roseto vorrebbe
scrivo questo poema che è solo un lamento,
solamente un lamento.



lunedì 11 giugno 2012

"LE LACRIME DELLE MADRI DI SREBRENICA" di A. Sidran (08/06/2012)



Dopo l’esternazione “La strage di Srebrenica non è stato genocidio" del nuovo presidente serbo, il nazionalista Tomislav Nikolic, mi viene spontaneo leggervi questi versi scritti dal poeta Abdulah Sidran a ridosso della cattura del generale Ratko Mladic. Costui, insieme a Radovan Karadzic, sono attualmente sotto processo per genocidio da parte del Tribunale penale internazionale per il loro ruolo nel massacro di Srebrenica. Perche fu genocidio. Mladic, il settantenne 'boia dei balcani', deve rispondere di undici diversi capi d'imputazione per crimini di guerra, contro l'umanità e genocidio, tra cui, appunto, quelli relativi alla carneficina del 1995 durante la quale vennero uccisi ottomila musulmani.
Questa poesia è una testimonianza che parla del presente e coinvolge il futuro, basandosi sul passato. E’ un dolore che non avrà riposo, qualsiasi rassicurazione il vento o la luna porti tra le lacrime di chi ha conosciuto la morte.
Alcune volte, certe esternazioni, ti fanno pensare che il mondo e il suo sistema e le sue ignobili regole non potranno mai cambiare. Per fortuna, alcune volte.

 
Le lacrime delle madri di Srebrenica
(Abdulah Sidran)

Sarebbe meglio non fosse
piuttosto che sia
così
come oggi è
la nostra Srebrenica

Nulla di morto né di vivente
in lei
può più abitare

Sotto un cielo plumbeo
l'aria di piombo
mai nessuno
ha imparato
a mettersi nei polmoni

Da lei fugge tutto
ciò che ha gambe
con le quali possa
e sappia dove
fuggire

Da lei fugge tutto
anche ciò che da nessuna parte
se non sotto la terra nera
può fuggire

Gli ortodossi fuggono
i nuovi come i vecchi
i musulmani fuggono
i vecchi come i nuovi

E chi in qualche modo
è rimasto vivo
andato via e poi tornato
neppure un inverno con l'estate
ha messo insieme
né un autunno
con la primavera
ma ha cercato
quanto prima
di andarsene da Srebrenica

E quei cattolici
nostri vicini
e per loro Srebrenica
per centinaia d'anni
è stata l'amata
e bellissima
sede principe
della loro buona
e nobile comunità
se ne sono andati da tempo

Come se
nella loro saggezza avessero
saputo che sarebbe arrivato un tempo
in cui non ci sarebbe più stata
la buona Srebrenica

Ci dicono
da dieci anni ce lo dicono
che in Bosnia
la guerra è finita

A noi spiegano
e inviano istruzioni scritte
che nel nostro Paese
Bosnia Erzegovina
la guerra è finita
e che nessuno
deve più
guardare al passato

Credono forse
davvero
che siamo vivi
noi che stiamo qui
e da questo luogo
parliamo così
come se davvero fossimo vivi
Davvero pensano che si chiami salute
davvero pensano che si chiami ragione
ciò che in noi è rimasto
della salute e della ragione di un tempo?
Non vedono, non sentono forse
non sanno forse che noi,
quelli rimasti, siamo più morti di tutti
i nostri morti, e che qui oggi, con la loro voce,
la voce dei nostri morti, dalle loro gole,
gridiamo e con il loro grido - noi parliamo?

Non ci permettete di
guardare al passato!
E noi non lo guardiamo, ma è lui a guardarci!

Voi dite:
guardate al futuro!

Ma noi, nessun
futuro in nessun luogo
riusciamo a vedere
né vediamo che lui
con un sol occhio
guardi noi
e neppure che ci veda
e che di noi si preoccupi.

venerdì 1 giugno 2012

M'INCATENO ALLE ORIGINI di Michela Zanarella (01/06/2012)



Sicurezza, fiducia e fede (religiosa) in questo libro di Michela Zanarella, “Meditazioni al femminile” (Sangel Edizioni). Sicurezza verso se stessa e il prossimo. Anche nel buio, la sua visione si conclude con una speranza o con una rinascita. Sarà la sua fede a comportare tale stato d’animo? Certamente non sarà Netanyahu o le azioni compiute in Iraq dall’ ex presidente americano Bush. Comunque sia, c’è una linea costante che lega tutte le opere presenti nel libro. Questo vale anche per le parole e le metafore che fanno grande gioco nel suo poetare. Visioni oniriche e, spesso, ripetitive e, a tratti, eccessive. Ricade la parola “ciglia” (sensualità), “amore” (verso un lui), “stagioni” (mutamenti dell’anima), “giallo-verde” (lo scorporarsi del tempo), “memoria (storica, sia negativa che positiva)”, in quasi tutte le poesie come se l’autrice volesse mantenere un dialogo perpetuo fino alla fine. Che un po’ stanca. Come è pesante la monotonia della struttura linguistica e dell’estetica delle poesie. Più o meno sempre così:
Sinossi: descrizione dell’ambiente, intimo o esteriore (solitamente anticipata da una frase “incipit”);
Vicenda e descrizione delle passioni e del sentimento scaturito;
Conclusione: descrizione del perché o del come. “Il cosa faccio o farò”.
Ci sono molte poesie dedicate a Pier Paolo Pasolini e alla Merini e a Dio. Le poesie sono aforismi in immagini. Tagli di due versi o catene di figurazioni unite da coniugazioni grammaticali. Tutto porta a un senso. Senza mai lasciare fare all’immaginazione del lettore. Questo è un peccato perché viste le forti allegorie, le visioni muoiono nella rigorosità del tratteggio fraseologico ripetuto e invariabile e già delineato dall’autrice (un esempio contrario e di spunto potrebbe essere Neruda). Forti le metafore tipo: “Siamo spiriti di un secolo / che divora le memorie.” o “In un ronzio di croci”. Interessante la libertà di respiro colta da astrazioni biologiche e naturali. Come se fosse sempre un qualcosa di nuovo. E qui la fede non centra nulla. Qui c’è lo zampino di un qualcosa in carne ed ossa. Sensuale e veniale. Augurandomi non si tratti né di Netanyahu né di Bush.


.M’incateno alle origini.
(Michela Zanarella)

M’incateno alle origini
della luce,
disfo un tramonto
appena poesia mi tocca,
creo con le labbra la sorte
di un orizzonte che esalta
umane villeggiature d’ossa.
Mi riposo nell’improvviso vibrare
di nuvola,
incrociando fiumi di silenzio
all’estroso azzurro di un popolo
d’istanti.
Incarnata nell’esilio
di terra ed acqua
mi allaccio al vento, m’abbandono al fuoco.
Ad occhi pieni di mondo
intorno al sole
passo immobile ad esistere
e come Dafne,
eterna mi faccio bosco d’ulivi.