venerdì 25 novembre 2011

CROCIFISSO NEL PUGNO D'UN MORTO - Charles Bukowski (25/11/2011)


Una delle cose che più ammiro di Bukowski è quella della freddezza. Cioè la capicità di dire e scrivere "fottendosene" di ciò che gli sta intorno, ma - comunque - facendolo rientrare in tutto quello che ha detto e scritto, come denuncia o scherno. Forse la sua intera vita è una grande denuncia.
La poesia che vi leggo è un'insieme di piccoli frammenti che seguono un corso biologico e vitale. E' una presa di coscienza; il mondo visto con occhi lucidi e critici. C'è molta musicalità nel testo, che si abbraccia ad una tristezza quasi volgare e imprescindibile; mai annullabile.
Tutto passa e cambia. E, molto spesso, siamo sempre in ritardo e confusi. Forse volontariamente o forse perché nessuno ha mai tanta voglia combattere.


Crocifisso nel pugno d'un morto
C. Bukowski

sì, cominciano tra i salici, direi,
i monti inamidati cominciano tra i salici
e vanno via così senza badare
né ai puma né alle pesche
chissà come
questi monti somigliano a una vecchia
con poca memoria e una sporta per la spesa.
siamo in una conca. ecco
l'idea. giù nella sabbia e tra i vicoli,
questa terra trafitta, percossa, divisa,
stretta come un crocifisso nel pugno d'un morto,
questa terra comprata, rivenduta, ricomprata
e ancora venduta, le guerre finite da un pezzo,
tornati gli spagnoli nella Spagna lontana
sempre nel bussolotto, e adesso
agenti immobiliari, lottizzatori, proprietari terrieri, costruttori
di autostrade che discutono. questa è la loro terra
e io ci cammino sopra, ci vivo per un po'
qui dalle parti di Hollywood vedo giovani nelle stanze
che ascoltano vitree registrazioni
e penso anche ai vecchi stanchi di musica
stanchi di tutto, e la morte come suicidio
credo sia qualche volta volontaria, e per avere un pungo d'appoggio
qui sulla terra è meglio ritornare
al Grand Central Market, vedere le vecchie messicane,
i poveri... sono certo che hai visto queste stesse donne molti anni prima
discutere
con gli stessi giovani impiegati giapponesi
spiritosi, intelligenti e dorati
tra i loro mucchi di arance, di mele,
avocado, pomodori, cetrioli -
e sai che aspetto hanno, hanno davvero un bellissimo aspetto
ti sembra che potresti mangiarteli tutti
accendere un sigaro e, col fumo disfarti del mondo cattivo.
poi è meglio tornare nei bar, gli stessi bar
lignei, verdi, spietati, stantii
col giovane poliziotto di passaggio
terrorizzato e in cerca di guai
e la birra è sempre cattiva
ha un sapore che si confonde già col vomito
e la putrefazione, devi farti forza tra le ombre
per ignorarlo, ignorare i poveri e te stesso
e la borsa della spesa che tieni tra le gambe
bella piena di avocado, arance e pesce fresco
e bottiglie di vino, chi ha bisogno di un inverno
come quelli di Ford Lauderdale?
25 anni fa c'era sempre una battona
con una membrana su un occhio, che era troppo grassa
e faceva campanule d'argento con la stagnola
delle sigarette. allora il sole sembrava più caldo
anche se forse non era affatto vero
e tu porti fuori la borsa
della spesa e cammini per la strada
e la birra verde ti resta là sospesa
proprio sopra lo stomaco come
uno scialle corto e vergognoso,
e ti guardi intorno e non vedi
più
vecchi.

venerdì 18 novembre 2011

L'ANNEGATO di Fabio Barcellandi (18/11/2011)



La poesia di Fabio Barcellandi ha molti aspetti da mettere in chiaro: primo: è costante, secondo: è grottescamente ironica, terzo: è composta da spruzzi di fugace genialità seguiti da onde di inutile blanda filosofia; quarto: è composta da ritornelli di frasi che compongono gran parte delle sue composizioni; quinto: gioca molto con i giochi di parole e li incastra con seria intelligenza così da non stancare né da renderli banali (e possiamo ritrovare qui spruzzi di genialità). Sesto: ritroviamo, quella che io definisco, la “religiosità biologica” cioè – a partire dall’idea filosofica del super-uomo, mescolata con la cabala yasshid per finire con la visione socialista e umanista – la coscienza di noi uomini Dio, cioè l’uomo al centro del tutto; Dio come Uomo e non viceversa. Settimo: e questo è un mio giudizio insindacabile generale, molto spesso le poesie sembrano pensieri fugaci e non riletti, istintive perle che lasciate al loro primordiale esordio perdono il loro brillio e la loro sostanza. Ottavo: c’è un forte sarcasmo intimista che splende di (troppi) punti esclamativi e (banali?) parentesi con le lettere mancanti per il doppio senso, spesso non giustificato. Nono: c’è un miglioramento linguistico e principalmente di distensione vocale; più strafottente e bambino; molto cinico e puro. Decimo: alcune volte manca di passione, i versi sono gelidi e troppo ripetitivi e si rischia di sorvolare il messaggio o la ritmica del delirio che sembra serpeggiare tra queste righe.
Infine: bisogna essere vergini per apprezzarlo fino in fondo.

Il libro di cui vi parlo è Folle, di gente (edizioni Montag).
Di seguito il testo e la lettura di una poesia presente nella silloge.


.L’annegato.
(Fabio Barcellandi)

granelli d’infranti sogni
mi ritrovo tra le mani
sabbia in balia
del vento dell’indifferenza
foraggiata dal gelido egoismo
di mentalmente disturbati amori

gocce di verità nascoste
mi ritrovo in bocca
acqua intorbidita
dalla tempesta della menzogna
rinsaldata dalla deteriore meschinità
di subdole coscienze pavide

brandelli di perduta felicità
mi ritrovo sul corpo
alghe strappate
dal turbinio di un divenire
immarcescito dalla mediocrità imperante
di un corrotto mondo perduto

inconsapevole d’esser morto
mi ritrovo annegato tra flutti
di velenosi sputi
carne macera in ostinata acredine
indurita da pervicace ignoranza
perpetuamente condannato a perdere.

venerdì 11 novembre 2011

ETERNITA' DEL FICO D'INDIA di Mahmud Darwish (11/11/2011)


(per il video cliccare sul titolo)


Siamo arrivati all’ultimo Venerdì dedicato alla poesia palestinese. Come avevo già affermato, concludo con uno dei più grandi e riconosciuti poeti palestinesi nel mondo: Mahmud Darwish.
Nella sua poesia ritroviamo la Palestina, sia come Stato sia come patria perduta. E’ un canto imprescindibile della sua penna; la si ritrova in ogni verso, senza stancare ma anzi incorporando il mondo intero – con i suoi dolori e le sue gioie - in quelle righe, tra quei poemi.
Gioca molto con i ritornelli. Idilliaci le sue poesie e metafisiche le sue visioni. La metafora è gioco forza per non cadere nella routine della quotidianità, del terrore e del disprezzo. E sono metafore che accolgono la realtà come sole sul mare per i pescatori stanchi dopo una lunga notte di incertezze e di successo. Nelle sue poesie c’è rabbia e passione. E molto amore – amore per una Lei che è esistita e che ancora implora all’esiliato di rientrare a casa.
(Proseguendo diventerei molto sdolcinato perché provo per Mahmud un ammirazione molto forte, ritenendolo un maestro sia di vita che di scrittura. Quindi, passo alle due poesie che ho voluto leggervi.)
Eternità del fico d’India” è una storia, in salsa biblica e teatrale, coperta da un’ombra che si veste sia di speranza che di conferma. La conferma è la distruzione della propria dimora. Il discorso tra padre e figlio rende pratico e caritatevole la rigidità del tema facendolo sfociare negl’ultimi versi dove il poeta si rivolge al lettore con le due parole: “[…] ricordalo domani”. Quasi un ammonizione. Quasi una burla perché quelle due parole (oltre il discorso del Signore in precedenza) non sono mai state ascoltate né applicate.
In “Innamorato della Palestina”, con l’amore verso una lei, esprime l’essenza dell’uomo: la propria razza, il proprio luogo di nascita, la propria pelle identica a quella del tuo popolo ovunque tu sia. I versi sono frammentati, si passa dal presente al passato per poi concludersi in quel futuro che mai per nessuno cambia o ha altre alternative. La dolcezza delle parole lascia un senso di candore e purità che si evolve in una speranza incalcolabile, quasi se tutto “questo fosse normale”.

La prima poesia è ripresa dal libro “Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?”, mentre la seconda da un sito internet che non ricordo più (chiedo scusa). 
Inserisco un link dove troverete una sua breve biografia e altre poesie, oltre ai libri (quasi tutti reperibili) pubblicati in Italia.
Io vi consiglio di leggere “Murale”. 


Titoli pubblicati in Italia:
"Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?" (Edizione San Marco dei Giustiniani)
"Il letto della straniera" (Ed. Epoché)
"Come fiori di mandorlo o più lontano" (Ed. Epoché)
"Murale" (Ed. Epoché)
"Meno rose" (Università degli studi Ca'Foscari di Venezia)
"Oltre l'ultimo cielo. La Palestina come metafora" (Ed. Epoché)
"Memoria per l'oblio" (Ed. Jouvence)


.Eternità del fico d’India.
(Mahmud Darwish)

Dove mi porti padre?
Verso il vento, figliolo.

Via dal pianoro dove i soldati di
Bonaparte elevarono terrapieni
per spiare le ombre sui bastioni
vecchi di San Giovanni d’Acri.
Un padre disse al figlio: non avere
paura del fischio delle pallottole!
Aggrappati alla terra e sarai salvo.
Noi sopravviveremo,
saliremo
sui monti a settentrione, ritorneremo
quando i soldati vanno a casa,
lontano.

- Dopo di noi chi abiterà la nostra casa,
padre?
- Rimarrà, figliolo, tale e quale noi l’abbiamo lasciata.

Tastò le chiavi come fosse il suo corpo
e si sentì sicuro.
Passando una barriera di rovi, disse:
ricorda, figliolo, qui gli Inglesi
in croce, sulle spine di un fico d’India,
per due notti intere
misero tuo padre.
Ma non parlò. Tu crescerai
e agli eredi dei fucili
racconterai di quel sangue versato sul ferro.

- Perché hai lasciato il cavallo
alla sua solitudine, padre?
- Perché dia vita alla casa, figliolo.
Le case muoiono se parte chi le abita.

L’eternità apre le porte
da lontano ai viandanti della notte.
Ululano i lupi delle terre desolate
a una luna spaurita.
E un padre dice al figlio:
sii forte come tuo nonno,
sali con me l’ultimo poggio
delle querce, figliolo.
Ricordati: qui il giannizzero è caduto
giù dalla mula da guerra,
tieni duro con me
e ritorneremo
- Ma quando, padre?
- Fra un giorno, figlio, forse tra due.

Un distratto domani dietro a loro
masticava un lungo, notturno vento invernale.
I soldati di Giosuè
con le pietre della loro casa
edificavano una cittadella.
Erano ansanti sulla via di Cana.
Qui passò un giorno nostro Signoro,
qui cambiò l’acqua in vino e a lungo parlò
dell’amore, ricordalo domani.
Ricorda i castelli dei crociati
annientati dall’erba d’aprile
alla partenza dei soldati.