venerdì 9 dicembre 2011

da MONOGRAMMA: .IV. di Odisseas Elitis (09/12/2011)


Nel 1979 gli viene conferito il premio Nobel. Odisseas è uno dei poeti più importanti della poesia contemporanea greca. La sua poetica è molto elastica, cammina tra la tradizione e la sperimentazione. Molte figure arcaiche e mistiche risaltano nei suoi versi. Gioca molto con i ritornelli (come vedrete in questa poesia). Le metafore sono la rivelazione della realtà che Odisseas vive e percepisce. Onirici e musicali, le parole fluttuano tra immagini concrete e plastiche che si insinuano nei sensi e nelle ossa.
L’analogia è l’elemento principale di tutta la sua poesia. Così lo e si esprime: “Per analogia intendo il fatto che una linea tracciata da un pittore non è riferibile soltanto a se stessa, ma ha un’analogia nel mondo dei valori spirituali. Che una montagna si possa vedere in una o in un’altra forma, deve avere un’influenza sullo spirito umano, deve avere una sua analogia.
La poesia che vi leggo è la IV del libro Monogramma, che prendo dal testo “E’ ancora presto”, un’antologia di Elitis pubblicata da Donzelli.
La caratteristica che risalta è il ritornello composto dalla parola “mi senti”. Anche con la mancanza della punteggiatura, leggendo, si percepisce la presenza di un punto interrogativo e di una voce che da lamento, sale sale, e diventa grido. Implora una risposta che arriva solo nell’ultimo verso; data dallo stesso autore. Che in sé non è una risposta, ma un’affermazione. Un’enorme e semplice costatazione.

da Monogramma: .IV.
(Odisseas Elitis)

E’ ancora presto in questo mondo, mi senti
i mostri non sono stati domati, mi senti
il mio sangue perduto e l’affilato, mi senti
coltello
come ariete corre nei cieli
e delle stelle spezza i rami, mi senti
sono io, mi senti
ti amo, mi senti
ti prendo per mano, ti conduco, ti metto
la bianca veste nuziale di Ofelia, mi senti
dove mi lasci, dove vai e chi, mi senti

ti tiene per mano lassù tra i diluvi

Le gigantesche liane e la lava dei vulcani
Verrà giorno, mi senti
che ci seppelliranno e poi, dopo migliaia di anni, mi senti
non saremo che pietre lucenti, mi senti
dove si rifrangerà l’indifferenza, mi senti
degli uomini
e in migliaia di pezzi ci butterà, mi senti

Nell’acqua ad uno ad uno, mi senti
conto i miei amari ciottoli, mi senti
e il tempo è una grande chiesa, mi senti
dove le icone a volte, mi senti
dei Santi
piangono lacrime vere, mi senti
Le campane aprono in alto, mi senti
un profondo valico per lasciarmi passare
Gli angeli aspettano con ceri e salmi funebri
Non me ne andrò via di qui, mi senti
o insieme tutti e due o nessuno, mi senti

Questo fiore della tempesta e, mi senti
dell’amore
una volta per sempre lo cogliemmo, mi senti
e non potrà più fiorire, mi senti
su altri pianeti o stelle, mi senti
Non c’è la terra e neppure il vento
lo stesso vento che toccammo, mi senti

E non un giardiniere che ci sia riuscito, mi senti

Da inverni e bore simili, mi senti
spuntare un fiore, solo noi, mi senti
in mezzo al mare
con la volontà dell’amore, mi senti
Alzammo intera tutta un’isola, mi senti
con grotte, promontori e rupi in fiore
Senti, senti
chi parla alle acque e chi piange – senti?
Chi cerca l’altro, chi grida – senti?
Sono io che grido e io che piango, mi senti
Ti amo, ti amo, mi senti.

Nessun commento:

Posta un commento