Un anno di Venerdì di Poesia: oltre tre mila visite, anche dalla Russia e dagli Stati Uniti. Davvero GRAZIE.
.Malattie nella mia casa.
(Pablo Neruda)
Quando
il desiderio di gioia con i suoi denti di rosa
gratta
gli zolfi caduti per molti mesi
e
la sua rete naturale, i suoi capelli sonanti
alle
mie estinte stanze con roco passo giungono,
lì
la rosa di filo metallico maledetto
batte
con ragni le pareti
e
il vetro rotto osteggia il sangue,
e
le unghie del cielo si accumulano,
in
tal modo che non si può uscire, non si può dirigere
un
tema apprezzabile,
è
tanta la nebbia, la vaga nebbia defecata dagli uccelli,
è
tanto il fumo convertito in aceto
e
l’aria acre che perfora le scale:
nell’istante
in cui il giorno cade con le penne disfatte,
non
c’è che pianto, nient’altro che pianto,
solo
sofferenza, solo sofferenza,
e
nient’altro che pianto.
Il
mare si è messo a battere per anni una zampa d’uccello,
e
il sale batte e la schiuma divora,
le
radici di un albero trattengono una mano di bimba,
più
grande di una mano del cielo,
e
tutto l’anno lavorano, ogni giorno di luna
sale
sangue di bimba verso le foglie macchiate della luna,
e
c’è un pianeta dai terribili denti
che
avvelena l’acqua in cui cadono bimbi,
quando
è notte, e non v’è che la morte,
solo
la morte, e nient’altro che pianto.
Come
un grano di frumento nel silenzio, ma
a
chi chiedere pietà per un grano di frumento?
Guardate
come stanno le cose: tanti treni,
tanti
ospedali con ginocchia spezzate,
tante
botteghe con gente moribonda:
allora,
come? Quando?
Chi
supplicare per occhi del colore di un mese freddo,
e
per un cuore della grandezza del frumento che vacilla.
Non
vi sono che ruote e considerazioni,
alimenti
progressivamente distribuiti,
linee
di stelle, coppe
in
cui non altro cade che la notte,
non
altro che la morte.
Bisogna
sostenere i passi infranti.
Passare
in mezzo a tetti e tristezze mentre arde
una
cosa bruciata con fiamme di umidità,
una
cosa tra stracci tristi come la pioggia,
qualche
cosa che arde e che singhiozza,
un
sintomo, un silenzio.
Tra
conversazioni abbandonate e oggetti respirati,
tra
i fiori vuoti che il destino incorona e abbandona,
c’è
un fiume che cade come una ferita,
l’oceano
che batte un’ombra di freccia spezzata,
c’è
tutto il cielo che perfora un bacio.
Aiutatemi,
foglie che il mio cuore ha adorato in silenzio,
dure
traversate, inverni del sud, capigliature
di
donne bagnate nel mio sudore terrestre,
luna
del sud del cielo sfogliato,
venite
a me con un giorno senza dolore,
con
un minuto in cui possa riconoscere le mie vene.
Sono
stanco di una goccia,
sono
ferito solamente in un petalo,
e
da un buco si spillo ascende un fiume di sangue
senza
consolazione,
e
affogo nelle acque della rugiada che marcisce nell’ombra,
e
per un sorriso che non cresce, per una bocca dolce,
per
delle dita che il roseto vorrebbe
scrivo
questo poema che è solo un lamento,
solamente
un lamento.