La poesia di Fabio Barcellandi ha molti aspetti da mettere in chiaro: primo: è costante, secondo: è grottescamente ironica, terzo: è composta da spruzzi di fugace genialità seguiti da onde di inutile blanda filosofia; quarto: è composta da ritornelli di frasi che compongono gran parte delle sue composizioni; quinto: gioca molto con i giochi di parole e li incastra con seria intelligenza così da non stancare né da renderli banali (e possiamo ritrovare qui spruzzi di genialità). Sesto: ritroviamo, quella che io definisco, la “religiosità biologica” cioè – a partire dall’idea filosofica del super-uomo, mescolata con la cabala yasshid per finire con la visione socialista e umanista – la coscienza di noi uomini Dio, cioè l’uomo al centro del tutto; Dio come Uomo e non viceversa. Settimo: e questo è un mio giudizio insindacabile generale, molto spesso le poesie sembrano pensieri fugaci e non riletti, istintive perle che lasciate al loro primordiale esordio perdono il loro brillio e la loro sostanza. Ottavo: c’è un forte sarcasmo intimista che splende di (troppi) punti esclamativi e (banali?) parentesi con le lettere mancanti per il doppio senso, spesso non giustificato. Nono: c’è un miglioramento linguistico e principalmente di distensione vocale; più strafottente e bambino; molto cinico e puro. Decimo: alcune volte manca di passione, i versi sono gelidi e troppo ripetitivi e si rischia di sorvolare il messaggio o la ritmica del delirio che sembra serpeggiare tra queste righe.
Infine: bisogna essere vergini per apprezzarlo fino in fondo.
Il libro di cui vi parlo è Folle, di gente (edizioni Montag).
Di seguito il testo e la lettura di una poesia presente nella silloge.
.L’annegato.
(Fabio Barcellandi)
granelli d’infranti sogni
mi ritrovo tra le mani
sabbia in balia
del vento dell’indifferenza
foraggiata dal gelido egoismo
di mentalmente disturbati amori
gocce di verità nascoste
mi ritrovo in bocca
acqua intorbidita
dalla tempesta della menzogna
rinsaldata dalla deteriore meschinità
di subdole coscienze pavide
brandelli di perduta felicità
mi ritrovo sul corpo
alghe strappate
dal turbinio di un divenire
immarcescito dalla mediocrità imperante
di un corrotto mondo perduto
inconsapevole d’esser morto
mi ritrovo annegato tra flutti
di velenosi sputi
carne macera in ostinata acredine
indurita da pervicace ignoranza
perpetuamente condannato a perdere.
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