(per il video cliccare sul titolo)
Siamo arrivati all’ultimo Venerdì dedicato alla poesia palestinese. Come avevo già affermato, concludo con uno dei più grandi e riconosciuti poeti palestinesi nel mondo: Mahmud Darwish.
Nella sua poesia ritroviamo la Palestina, sia come Stato sia come patria perduta. E’ un canto imprescindibile della sua penna; la si ritrova in ogni verso, senza stancare ma anzi incorporando il mondo intero – con i suoi dolori e le sue gioie - in quelle righe, tra quei poemi.
Gioca molto con i ritornelli. Idilliaci le sue poesie e metafisiche le sue visioni. La metafora è gioco forza per non cadere nella routine della quotidianità, del terrore e del disprezzo. E sono metafore che accolgono la realtà come sole sul mare per i pescatori stanchi dopo una lunga notte di incertezze e di successo. Nelle sue poesie c’è rabbia e passione. E molto amore – amore per una Lei che è esistita e che ancora implora all’esiliato di rientrare a casa.
(Proseguendo diventerei molto sdolcinato perché provo per Mahmud un ammirazione molto forte, ritenendolo un maestro sia di vita che di scrittura. Quindi, passo alle due poesie che ho voluto leggervi.)
“Eternità del fico d’India” è una storia, in salsa biblica e teatrale, coperta da un’ombra che si veste sia di speranza che di conferma. La conferma è la distruzione della propria dimora. Il discorso tra padre e figlio rende pratico e caritatevole la rigidità del tema facendolo sfociare negl’ultimi versi dove il poeta si rivolge al lettore con le due parole: “[…] ricordalo domani”. Quasi un ammonizione. Quasi una burla perché quelle due parole (oltre il discorso del Signore in precedenza) non sono mai state ascoltate né applicate.
In “Innamorato della Palestina”, con l’amore verso una lei, esprime l’essenza dell’uomo: la propria razza, il proprio luogo di nascita, la propria pelle identica a quella del tuo popolo ovunque tu sia. I versi sono frammentati, si passa dal presente al passato per poi concludersi in quel futuro che mai per nessuno cambia o ha altre alternative. La dolcezza delle parole lascia un senso di candore e purità che si evolve in una speranza incalcolabile, quasi se tutto “questo fosse normale”.
La prima poesia è ripresa dal libro “Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?”, mentre la seconda da un sito internet che non ricordo più (chiedo scusa).
Inserisco un link dove troverete una sua breve biografia e altre poesie, oltre ai libri (quasi tutti reperibili) pubblicati in Italia.
Io vi consiglio di leggere “Murale”.
Titoli pubblicati in Italia:
"Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?" (Edizione San Marco dei Giustiniani)
"Il letto della straniera" (Ed. Epoché)
"Come fiori di mandorlo o più lontano" (Ed. Epoché)
"Murale" (Ed. Epoché)
"Meno rose" (Università degli studi Ca'Foscari di Venezia)
"Oltre l'ultimo cielo. La Palestina come metafora" (Ed. Epoché)
"Memoria per l'oblio" (Ed. Jouvence)
.Eternità del fico d’India.
(Mahmud Darwish)
Dove mi porti padre?
Verso il vento, figliolo.
Via dal pianoro dove i soldati di
Bonaparte elevarono terrapieni
per spiare le ombre sui bastioni
vecchi di San Giovanni d’Acri.
Un padre disse al figlio: non avere
paura del fischio delle pallottole!
Aggrappati alla terra e sarai salvo.
Noi sopravviveremo,
saliremo
sui monti a settentrione, ritorneremo
quando i soldati vanno a casa,
lontano.
- Dopo di noi chi abiterà la nostra casa,
padre?
- Rimarrà, figliolo, tale e quale noi l’abbiamo lasciata.
Tastò le chiavi come fosse il suo corpo
e si sentì sicuro.
Passando una barriera di rovi, disse:
ricorda, figliolo, qui gli Inglesi
in croce, sulle spine di un fico d’India,
per due notti intere
misero tuo padre.
Ma non parlò. Tu crescerai
e agli eredi dei fucili
racconterai di quel sangue versato sul ferro.
- Perché hai lasciato il cavallo
alla sua solitudine, padre?
- Perché dia vita alla casa, figliolo.
Le case muoiono se parte chi le abita.
L’eternità apre le porte
da lontano ai viandanti della notte.
Ululano i lupi delle terre desolate
a una luna spaurita.
E un padre dice al figlio:
sii forte come tuo nonno,
sali con me l’ultimo poggio
delle querce, figliolo.
Ricordati: qui il giannizzero è caduto
giù dalla mula da guerra,
tieni duro con me
e ritorneremo
- Ma quando, padre?
- Fra un giorno, figlio, forse tra due.
Un distratto domani dietro a loro
masticava un lungo, notturno vento invernale.
I soldati di Giosuè
con le pietre della loro casa
edificavano una cittadella.
Erano ansanti sulla via di Cana.
Qui passò un giorno nostro Signoro,
qui cambiò l’acqua in vino e a lungo parlò
dell’amore, ricordalo domani.
Ricorda i castelli dei crociati
annientati dall’erba d’aprile
alla partenza dei soldati.
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