“Tristezze della luna” è una
delle poesie che più amo del libro “I fiori del male” di Charles Baudelaire. E’
semplice. Non chiede grandi risultati. L’architettura della poesia è basata su
rime alternate e rime baciate. Parla di amore, l’amore più puro: quello
platonico. Senza pregiudizi o disgrazie coniugali. Lo fa in modo naturale, con
timorosa passione. Le metafore sono immagini simboliche e serafiche. Con
semplicità. Con una metafora magnifica che compone gli ultimi quattro versi,
scritta con rime che non ritmano il senso (cioè non si trovano lì per
rafforzare l’immagine, come lo era per gli scrittori romantici, dal quale lui
deriva temporalmente), ma utilizzando il suono per rendere più dolce e, ripeto,
semplice; una visione onirica, fiabesca.
.Tristezze della luna.
(Charles Baudelaire)
Nei suoi sogni la luna è più pigra, stasera:
come una bella donna su guanciali profondi,
che carezzi con mano disattenta e leggera
prima d’addormentarsi i suoi seni rotondi,
lei su un serico dorso di molli aeree nevi
moribonda s’estenua in perduti languori,
con gli occhi seguitando le apparizioni lievi
che sbocciano nel cielo come candidi fiori.
Quando a volte dai torpidi suoi ozi una segreta
lacrima sfugge e cade sulla terra, un poeta
nottambulo raccatta con mistico fervore
nel cavo della mano quella gocciola frale,
pallida e iridescente come scheggia d’opale,
e, per sottrarla al sole, se la nasconde in cuore.
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