sabato 11 giugno 2011

IL CONTINGENTE di Janine Pommy Vega (10/06/2011)


La poetessa Janine Pommy Vega era (e lo è rileggendo le sue poesie) un fiume di dolore e di passione. La conobbi ad un reading a Reggio Calabria organizzato da Casa della Poesia e dall'associazione Angoli Corsari, nella manifestazione "Verso Sud" nel 2009, un'anno prima della sua morte. 
Ricordo un fatto curioso avvenuto quella sera. Mentre leggeva le sue poesie, era capitato che passasse diverse volte un motorino che faceva un casino assurdo, suonando il clacson forsennatamente. Lei, in quei casi, bloccava la lettura e cominciava a dire "Ciao, Ciao" indirizzato a colui o colei che sedeva sul motorino oppure faceva il verso del clacson. Era piena di vita, anche con la salute precaria e la malattia che ce l'ha trascinata via. Ha avuto una esistenza intensa, dai 16 anni in poi la si è vista un pò ovunque, principalmente impegnata nel sociale. E le sue poesie sono un'espressione vera e cruda di quello che ha vissuto e del male che ci attanaglia e ci sopprime, nella nostra totale abitudine nel subire. La poesia che vi leggo è la conferma di questa mia ultima affermazione. E' venuta molto spesso in Italia, grazie soprattutto al grande interesse e lavoro che compie Casa della Poesia (www.casadellapoesia.org), che ha pubblicato un suo piccolo quaderno di poesie "Nell'era delle cavallette"; l'unico in Italia.


.Il Contingente.
(Janine Pommy Vega)

Uscendo o entrando in un carcere per la cinquantesima o centesima volta
incontrare per caso un “contingente”,
l’arrivo di prigionieri nella nuova dimora,
guardare gli uomini trascinarsi in catene
caviglie in catene polsi in catene
uomini comuni, la dignità calpestata
come da regolamento sul pavimento
della latrina, dove volgi i tuoi occhi?

Come, al pari di Pablo Neruda, che avanzò tendendo
le mani, sporche del sangue
delle miniere, puoi non essere partecipe del crimine?
Si dice “in transito”, una procedura di routine,
come se darle un nome cancellasse lo squallore
un eufemismo come “alle docce”
ad Auschwitz, “lei è in assistenza alle truppe”,
come puoi assistere? Dove volgi i tuoi occhi?

Nella Prima Guerra Mondiale, nella Seconda Guerra Mondiale
uomini richiamati per difendere il loro paese
ora vengono fermati per sostenere un’industria
fondata sulle loro catene con una base
forte di due milioni di persone. Qualcuno vuole un paralume?
E a vederli ogni settimana, regolarmente, incontrandoli per caso
appena arrivati al cancello, o alla gabbia centrale,

o alla panchina sul pavimento della guardiola,
cerchi con gli occhi lo sguardo
dell’uomo che non vuole essere visto, con rabbia? Con compassione?
Guardi da qualche altra parte nello squallido
ambiente in cerca di aiuto? Ignori
le catene che la civiltà a cui appartieni
ha messo alle sue mani, ai suoi piedi? Pieghi la testa
per la vergogna? Chiedi perdono?

Attento che nessuna traccia giunga al tuo volto, tu
ti pieghi in due colpito allo stomaco
all’improvviso, carponi nella fogna
avanzando a fatica nelle acque di scolo.
Gli uomini in uniforme che recintano carne cruda in gruppi
sono lavoratori nel mondo, come te
che trasportano gente in catene
come lavoro quotidiano, che impressione farà?

Se questo fosse un caso isolato
potresti raccontare la storia a un mondo scioccato
turbato nel suo innato pudore per chiedere rimedio
ma è un fatto comune

La crudeltà è passata da atti causali
ad essere causa principale un tumore
grande quanto un pompelmo nel cuore di un popolo
e per quanto tu provi non c’è modo di evitarlo
o darti all’umorismo macabro e dimenticarlo,
non c’è luogo in cui tu possa volgerti e non vederlo,
la colpa della complicità ricade sulle spalle
di tutti coloro che tacciano, su noi che volgiamo altrove gli occhi.



Willow, New York, marzo 1999

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