L’autore palestinese di questo Venerdì, è un poeta nato nel 1919 e che ha vissuto quasi ogni avvenimento del conflitto Isra-Palestinese ancora in corso. Gabka, dopo il 1948, è costretto ad emigrare. Si stabilisce in Iraq dove insegna pittura (oltre che poeta è pittore, romanziere, traduttore – contribuisce in maniera significativa alla rinascita culturale araba nell’ultima metà del XX secolo). Poi parte per gli Stati Uniti per una borsa di studio. Rimarrà due anni. Rientra e si stabilisce in Libano dove partecipa attivamente alla vita culturale, collaborando con le riviste libanesi Shi’r e al-Adab. Da vita al famoso movimento di poesia Tammuz insieme al poeta Adonis e Nazik al-Mala’ika e altri intellettuali della diaspora palestinese. E’ morto in Iraq nel 1994. In questa poesia che vi propongo, i temi descritti la settimana precedente risaltano in modo viscerale. C’è la “Verde Palestina” che prende le sembianze di una donna palestinese. C’è il ricordo adolescenziale visto ora come un sogno. C’è la Storia “poeticata” di ciò che è avvenuto, dove pure la morte gode di tale avvenimenti. E infine c’è la domanda che si ricollega all’esilio e spinge verso un futuro incerto e, quasi, forse, stabilito. E’ una poesia cruda, anche se il linguaggio profila una leggerezza che rende armonica l’atrocità. Ma pur sempre cruda, la verità.
.Nel deserto dell’esilio.
(Gabra Ibrahim Gabra)
Nel deserto dell’esilio primavere s’inseguono.
Che ne è del nostro amore
quando i nostri occhi di polvere
e gelo sono colmi?
Verde Palestina terra nostra
dai fiori come pizzi sulle gonne delle donne.
Marzo adorna le colline
con peonie e narcisi
Aprile schiude nei campi
fiori e spose
Maggio è melodia
cantata al meriggiare
nelle ombre azzurre
tra gli ulivi delle valli
e nei campi maturi
di Luglio aspettiamo le promesse
e la danza chiassosa fra le masse.
Terra della nostra gioventù trascorsa
come sogno all’ombra di aranceti
tra i mandorli delle valli,
ricordaci erranti
tra le spine del deserto
erriamo tra le rocce dei monti
ricordaci ora
nel tumulto cittadino oltre i mari e i deserti,
ricordaci
di noi ricolma gli occhi
di polvere che non va via
nella rapida sosta e nell’erranza.
Annientarono i fiori sui colli attorno a noi
e su di noi abbatterono le case
sparsero i nostri resti
e innanzi a noi distesero il deserto
ecco abissi avvolgersi nelle proprie viscere
e ombre azzurre fendersi
in spine rosse chine
su corpi – preda per falchi e sparvieri.
Dalle tue cime gli angeli cantano ai pastori
melodie di gioia e pace all’umanità?
Solo la morte rise quando vide
nel ventre delle bestie
costole umane,
tra i colpi dei proiettili,
si mise a ballare una danza gioiosa
in testa alle prefiche.
Terra di smeraldo –
ma nel deserto dell’esilio
primavere s’inseguono
sul nostro volto solo polvere
Che ne è del nostro amore
quando occhi e bocche di polvere e gelo son colmi?
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