Una piccola Spoon River dei Gulag. Voci stantie e misere che
giacevano – e giacciono - sotto chili di
neve e che nessuno conosce, nessuno ricorda. Una Russia dimenticata
(occultata). Un silenzio che prosegue e che si auto-insegue per timori
scaturiti dall’atrocità compiute. Noi sappiamo cos’è stato, anche se sappiamo ben
poco di come e cosa è accaduto a Loro, alle vittime; chi fossero; il perché;
cosa facessero prima e cosa poi hanno subito lì nei campi; quale fu il loro
destino e quando e dove avvenne la loro caduta dentro una qualunque fossa
comune. E di quello che si sa è troppo distante per preoccuparcene, come se il
mondo e le azioni compiute dagli uomini – e le conseguenze da esse perpetuate –
fossero cose che a un certo punto implodono e non tornano più. Finish. Addio
nazismo! Addio Stalin e Mao!
Non è così. Tutto è sempre lì, magari in forma più lieve e
con armi più etiche e idee meno pericolose, ma sempre pronti a tornare alla
ribalta (basta guardare Alba Dorata in Grecia o Israele contro il popolo
palestinese).
I gulag erano un posto simile ai lager. Entrambi erano campi
di concentramento dove sono stati sterminati milioni di persone. L’unica
differenza è che in Russia (come in Cina) tutto è sempre stato troppo grande e
vasto per essere visto e accerchiato. Troppa censura. Troppo forti le relazioni
politiche tra e nello scacchiere politico mondiale. Troppi recenti accadimenti
infiniti (Guerra Fredda, Crollo del muro di Berlino, Putin). Troppa vergogna e
paura.
Offre una post, breve ed essenziale rinascita di quelle voci
il poeta Mario Reali nel suo libro “Elegie del terrore”(strano ma vero, per Passigli
Poesia, casa editrice molto classica e poco propensa a pubblicare opere così,
come dire, politiche. Riuscita e utile la prova compiuta con Reali; speriamo
prosegua su questa strada).
Il libro cadenza tra il lirismo nerudiano e il moralismo
leviniano. Ne è esempio la poesia che vi propongo (la prima del libro, sezione
Coro). Molto somigliante, dal “Ricorda” e altri versi, alla poesia introduzione
del libro “Se questo è un uomo” di Primo Levi, ma che si avvinghia, con i suoi
“non” e metafore così materialiste e naturali, alla poetica globale di Pablo
Neruda.
Le voci (gli autori che parlano con/per via delle poesie)
sono alcune volte numeri, altre volte solo dei puntini di sospensione; andati
persi.
C’è sconforto e ribellione in questi versi. Versi liberi,
fluidi, senza punti - rallentamenti. Tutta una sequenza di scene e dialoghi a
bassa voce, sussurrati nel pensiero.
Crude le immagini che scaturiscono dalle descrizioni del
vissuto di questi uomini-bestie che devono sottostare ad ogni tipo di violenza:
<<Ho mangiato su un piatto candido di porcellana
le feci del capo del campo
Ridevano e si chiudevano le narici per la puzza>>, dice
il n°1051 (medico)
Sono fatti autentici, dovuti, ripresi dall’autore in un
viaggio a Mosca, raccontati da chi è riuscito a salvarsi, a tornare.
E’ una memoria storica. Voci che raccontano, insegnano e
chiedono libertà. Voci facili da non
sentire e ascoltare.
<<Il silenzio dei vivi>>, dice il n°…
(professore universitario).
.Coro (I°).
da ELEGIE DEL TERRORE
di Mario Lucrezio Reali
Ricorda come profuma questo silenzio
Non è delle betulle che vestite di bianco
tengono sulle ginocchia i morti
Non è il profumo delle foglie
che coprono di sudari la terra
E’ questo silenzio il monumento all’uomo
Sulle traversine della ferrovia
che trafigge il cuore delle aurore
i chiodi arrugginiti dal sangue
sono lapidi
Fermati qui
Sono qui le tombe del secolo che offende
e prega perché ossa di uomini
non possano più divenire strade
Ricorda come profuma questo silenzio
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