Se devo essere sincero, è la
prima volta che mi capita tra le mani un libro di poesia patrocinato da un Comune. Questo libro che mi è stato regalato, è
intitolato: “Sento una Primavera”, ed è stato scritto da Annitta Di Mineo; è
stato pubblicato col contributo e, ripeto, col patrocino del suo Comune natale,
Mirabella Imbaccari. Primo stupore. Bella cosa. E non poteva essere e fare
altrimenti il Comune di Mirabella Imbaccari visto che le poesie di Annitta
parlano della sua infanzia e dei luoghi che l’hanno cresciuta – dove “lo
sguardo naviga l’infinito”.
Non sono amante di certa
poesia, ma l’altro mio lavoro – quello che mi mette i contributi all’Inps – mi
dà la possibilità di leggere solo cose brevi nell’intervallo tra una chiamata e
una ricerca sul computer. E questo libro si addiceva molto alle pretese del
tempo essendo composto da liriche fulmine di massimo 8/10 righe.
Ho preso questo libro con la
solita reticenza che mi compete e mi diverte tanto, e devo dire che mi ha stupito
per la seconda volta.
Inizialmente mi ero spaventato
sufficientemente leggendo la nota introduttiva da parte del Sindaco. La
reticenza stava già per prendere il sopravvento, ma superando questo scoglio
(non quello della reticenza, ma quella del commento istituzionale), mi sono
trovato di fronte ad un ermetico cosmo di parole toniche e ricercate con una
precisione scultorea e architettonica
riguardo i versi troncati al solo soggetto verbo, come a voler lasciare al lettore
il compito di riempirli.
Le poesie sono basate sul
ricordo e sulla pura descrizione del luogo. Certo, ci imbattiamo in qualche
frase fatta come “sensazioni dimenticate riemergono”, ma condite da immagini
nobili come “Crinali brulli/ filari virenti/ Chiome argentee/ Macchie
solitarie”. Nel suo poetare c’è molta semplicità. Capita la filosofia minima,
l’aforismo carino, la retorica comune, la metafora essenziale. C’è anche una
filastrocca, a mio parere.
Le cose che conquistano sono
due. La prima è la posizione ordinata e rigorosa della parola. La seconda è
l’empatia e l’emozione che alcune poesie riescono ad emanare. Ti assorbono e ti
proiettano in quei posti così scarni eppure strapieni di colori. Magia?
Devo dire, però, che non tutto
è andato per il verso giusto: trovo ridicola la sezione Primavera, ad esempio
(già, il libro è diviso in quattro parti; cioè le quattro stagioni). Troppa
retorica brutta. Troppa banalità d’immagini e metafore. Troppa superficialità,
in confronto alla perfezione del verso in altre liriche precedenti. Poca passione.
Quasi forzata. E addio magia.
Questa la ritrovo rileggendo
le tre poesie che vi leggo e in altre come “Non sai più”, “Kaos” o “Camminare”.
Sono riuscite a tele-trasportarmi alla mia infanzia nella mia terra, con un po’
di nostalgia mista a felicità.
Non so mai come certe cose
possano accadere, ma con la poesia bisogna sempre stare allerta. Per fortuna.
.Radici.
Seduta sulla sabbia tiepida
affondo i piedi in cerca delle mie radici
salsedine permea radici
Il mare ruggisce
Colonna sonora si scaglia
Il ritmo dei flutti s’annuncia
Lo sguardo naviga l’infinito
***
.Molecole.
Folgore in una notte di pioggia
Fiammata in una mattina d’inverno
Liquido infocato sotto la neve
C’è vapore nell’aria
Emissioni di molecole
accordano alle note
- Non posso pensare senza sentirmi rimescolare le viscere
–
***
.Palombaro.
Spinto dalla corrente oceanica
corpo sprofonda abissale
All’anima in superficie
ammaliano richiami
Il palombaro dritto sale
all’essenza della vita
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