Ho letto tutte le poesie di Sandro Penna (“POESIE”, Garzanti – Gli elefanti) in quattro ore, suddivise in tre giorni consecutivi; da sabato a lunedì. Sono state quattro ore intense e pragmatiche perché ero allibito dalla capacità e dalla caparbietà di questo autore di scrivere sempre delle stesse cose, con medesimi termini e medesime situazioni, in cinquant’anni di scrittura, senza mai evolversi, crescere; senza mai sperimentare nuovi percorsi; e, soprattutto, senza annoiarsi mai.
L’ho fatto io per lui.
In molti hanno parlato bene della poesia di Sandro Penna
(uno tra i tanti: Pier Paolo Pasolini). Per l’epoca sarà stato un gladiatore
possente contro i leoni della fermezza estatica del sonetto e capostipite nel
tema scabroso del quale trattava ossessivamente in ogni sua poesia – che è un
epigrafe composta da pochi versi, spesso aforistico e rimato.
Sarà l’epoca, ripeto, ma per me è stato molto sconfortante e
lesivo (leggevo l’opera omnia tra le 6:30 e le 8:30 del mattino) essere
sommerso da così tanta “adolescenziale”
perversione (parliamo di pederastia) e così tanta banalità stilistica e
linguistica. Sicuramente è stata la ripetizione ridondante di parole e
circostanze desiderate (e, a quanto riportato nelle poesie, ottenute) che mi
hanno debilitato psicologicamente.
Quando ho finito il libro ho capito che non era necessario
sbattersi tanto, bastava una sola poesia per racchiudere l’intero pensiero di
Penna, una qualsiasi, senza tanta concentrazione. Tipo: “Nella luce lunare apparve al sommo
del muro del mio harem
un ragazzo.
Echeggiò un colpo e fu
silenzio intorno.
Non declinare più luna
di marzo.”
Non so se fosse lo scopo dell’autore quello di sconfortare
il lettore e di dare determinate impressioni sulla sua opera e sulla sua vita, certamente mi ha spinto a questi tre
punti conclusivi:
1. Segaiolo (“Immobile e perduto, lentamente / animava nel
buio la mano.”);
2. Filosofico (“Non c’è più quella grazia fulminante / ma il
soffio di un qualcosa che verrà.”);
3. Pittoresco (“Quando gli aspetti del mondo lucevano/ entro
il leggero sole d’ottobre, / felici e crudeli era bello / sognare.”).
La lirica di Penna si alterna tra il taglio poetico del
Pascoli – dove il Fanciullino non è visto come un tramite ideologico della
vita, ma come un puro atto di possessione sessuale e di amore -, e quello D’Annunziano
– per le visioni mistiche e l’ambiente figurato nel quale si stagliano i
personaggi e le loro azioni.
Il suo minimalismo stilistico ha un che di simile ai 140
caratteri di un tweet. E’ stato un precursore della moda degli sms e del
linguaggio tipico degli internauti e di internet. Gliene diamo merito (anche se
per qualcuno, tipo il sottoscritto che non riesce proprio a stare dietro e
dentro a questi mitici 140 caratteri, può essere un madornale peccato come il seitan
per i carnivori).
A tratti la poesia di Penna è composta da un solo verso. E’
messaggio sfuggente, pura descrizione di un momento quotidiano o di una
riflessione arrivata e colta all’istante. Cinque parole. Un cripto segnale. Che
solo lui può svelare. Io ho messo dei punti interrogativi e dei puntini di
sospensione vicino a questi aforismi. Non mi hanno coinvolto.
Infine, leggendo tutta la sua opera omnia, mi è sembrato di
trovarmi dentro a un piccolo paese dei balocchi dove il tempo è sempre scandagliato
dal binomio alba-tramonto (che sono anche gli stati d’animo che si intercedono
nelle poesie: gioia e dolore) e dove lo spazio e le persone che si trovano o
che si ritrovano dentro – come i lettori – diventano di una pasta indefinita e
ciclica, governati da una mano che assoggetta regole e sentimenti, senza
cattiveria alcuna, ma con adolescenziale
pressione e tormento.
Non sto parlando di finzione, ma di illusione.
Per concludere, ci
troviamo dinnanzi a un autore che ha contornato la sua poesia di metafore
sessuali e che ha parlato di sé con sé. Senza sguardi oltre l’orizzonte del suo
“harem” e senza mai cedere al virtuosismo del mercato e della casta letteraria
del momento. Un modernista che diventa, autonomamente, tradizionalista e
statico già dopo la prima poesia scritta.
Voto: 3--
POESIE
di Sandro Penna
*
Andavo già piangendo fra la gente
il mio perduto seme senza amore.
Raccolse le mie lacrime un pastore
leggero, attento, intatto, indifferente.
*
Il fanciullo che giuoca a me vicino
è simile al mio cuore
e m’è lontano.
*
Variante
Oh voglia di baciare un bel ragazzo.
Sole con luna, mare con foreste.
Tutt’insieme baciare in una bocca.
Ma il fanciullo non sa. Corre a una porta
di triste luce. E la sua bocca è morta.
*
E’ il nobile sesso. E poi, di questo,
solo un’età (nobile, sì, ma fresco!).
Di questa solo alcuni rari esemplari.
E infine, e poi… di te, ma tanto tanto
una sola immagine mi è cara.
*
Nella luce lunare apparve al sommo
del muro del mio harem un ragazzo.
Echeggiò un colpo e fu silenzio intorno.
Non declinare più luna di marzo.
*
Il mio fanciullo ha le piume leggere.
Ha la voce sì viva e gentile.
Ha negli occhi le mie primavere
perdute. In lui ricerco amor non vile.
Così ritorna il cuore alle sue piene.
Così l’amore insegna cose vere.
Perdonino gli dei se non conviene
il sentenziare su piume leggere.
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